giovedì 15 settembre 2016

Un Busker a Londra

Ieri sull'Hungerford Bridge, mentre mi dirigevo verso Waterloo, ho visto in lontananza un busker di colore con una chitarra.

La parte del ponte pedonabile è abbastanza stretta e lui non era accovacciato da un lato ma piuttosto steso, con le gambe quasi ad intralciare il traffico dei passanti che sembravano calciarlo.

Il busto era chino sullo strumento, la testa bassa sul lato sinistro avvicinava la bocca ad un microfono senz'asta, fissato alla chitarra con del nastro nero e collegato ad un piccolo amplificatore e un chorus.

Non guardava nessuno e suonava un arpeggio lento, preciso, in minore, accompagnato da un voce bellissima, sottotono, senza alcuna parola chiaramente distinguibile.

Non sono uno che s'impressiona facilmente per eserciti di musicisti e cantanti che, a mio modesto avviso, valgono zero e dei quali si può solo ammirare la tenacia, forza di volontà e spirito di abnegazione.

Al contrario questo ragazzo aveva del talento sul serio.

Era uno dei pochissimi, nati per suonare.

E ho pensato che in una società ossessionata dal successo e dalla vittoria, che lotta continuamente contro una natura che non potrà mai sconfiggere, non esiste niente di più erotico del talento, quello vero, soprattutto quando è sprecato.