giovedì 19 maggio 2016

Chris Cornell e la morte nel rock

Ritorno dal bosco, olio su tela, 1890. St. Moritz, Museo Segantini


E così un'altra Rockstar ha deciso di morire, nel più classico dei clichè, all'interno della toilette di un'impersonale camera d'albergo in una città, Detroit, finita nella sua espansione economico motoristica proprio come il rock.

Escludendo la prematura morte di Andrew Wood (Malfunkshun e Mother Love Bone) nel 1990, in seguito alla quale venne formato per un tributo da un mix di componenti Pearl Jam e Soundgarden il primo "supergruppo" Grunge Temple of the dog, Cornell era uno dei quattro frontmen simbolo di questo genere.

Oggi rimasto solo Eddie Vedder, insieme a Cornell, la parte più commerciabile, intonata e belloccia del sound di Seattle di quegli anni.
Gli altri due, Kurt Cobain e Layne Stayle, notevolmente più talentuosi, hanno deciso di uscire di scena molto prima.
Il primo sparandosi in bocca nel 1994 e il secondo eclissandosi dal mondo fino a farsi ritrovare due settimane dopo il decesso (2002) all'interno di un appartamentino in affitto, scoperto da un conoscente in seguito all'interruzione improvvisa dei prelievi atm (bancomat) notata dal commercialista, con il corpo già in stato di evidente decomposizione.
Entrambi eroinomani.

Il Rock è morto, non è una novità, manca una lapide ufficiale ma il cuore del paziente ha smesso di battere da ormai molto tempo.
Se dovessimo mettere una data di nascita e fine sarebbe corretto farlo coincidere con il postmodernismo, quindi, a seconda delle varie interpretazioni, 1945 - 1997 o 1951 - 2001.
Si può dibattere su qualche mese in più o in meno ma non sul suo decesso.

Per morte del rock intendo la fine della sua capacità d'innovare (apice 1964-74) e rappresentare il grido di ribellione alla cacofonia meccanica discordante e sovrappopolata del modernismo, la sua rivisitazione e reincarnazione del romanticismo ottocentesco alla Blake (Doors) o Byron (Suede) con queste figure irrisolte, sofferenti, anti eroiche che indulgono nella promiscuità sessuale e negli abusi di droghe, implodendo nell'occulto fino ad arrivare alla follia, non alla morte della canzone la quale avrà vita ancora molto lunga.

La dipartita di queste "ultime" Rockstar ci sembra ancora più pesante, non tanto per il loro reale valore artistico quanto per la mancanza di sostituti.
Come fossero gli ultimi esemplari di dinosauri a scomparire, figure che hanno vissuto l'ultimo sussulto e colpo di coda del Rock (1989-1994) e oggi ci consegnano a quest'era digitale del remix continuo, dove tutto è copia esplicita al punto da rimettere in discussione il concetto stesso di proprietà intellettuale, dove le macchine (per un breve periodo mosse dai dj'z) sono sempre più incisive e gli esseri umani sempre più autistici.

E' quindi il punto di vista diverso a spiegarci il vuoto lasciato da queste figure, non tanto il loro talento, ma il ricordo di un tempo passato non destinato a tornare.

Così come per il Trumpismo.
L'indignazione della parte "colta" della società alla presidenza Trump è fuori luogo.

Trump è si un fantoccio incarnazione dell'iperconsumismo, ma lui è quello che è sempre stato (sono almeno trent'anni che si candida alla presidenza o dice di volerlo fare).

E' la società ad essere cambiata, ad essere scesa ancora più verso il basso e ritrovarsi pronta per essere governata da questi pupazzi svuotati di ogni reale potere (tutto nelle mani della finanza e tecnocrazia) come i vari Renzi, Boschi o anche del giovane Macron.

...La società dell'autismo (ma questo sarà un altro articolo... se ne avrò voglia).