mercoledì 15 gennaio 2014

Malessere Avanzato



Leggiamo un interessante articolo del premio Nobel Joseph Stiglitz, uno dei pochi economisti inseriti nelle più alte istituzioni internazionali che si può permettere di parlare contro il sistema.

Famoso è il suo appoggio a Occupy Wall Street quando citando l'ex presidente Andrew Jackson ricordò che la finanza privatizza i guadagni e nazionalizza le perdite (come la Fiat ?!?!).

Importanti sono anche le sue critiche mosse al fondo monetario internazionale rigurdo alle politiche economiche imposte ai paesi "in crisi" negli anni '90 (dall'est Europa, all'Argentina). Quelle che oggi stiamo sperimentando da noi, ovvero:

- Austerità
- Politica monetaria deflazionista
- Apertura allo shopping in saldo straniero


NEW YORK – L'economia è spesso chiamata la scienza triste, e negli ultimi cinque anni ha decisamente meritato quest'epiteto, almeno nelle economie avanzate. Purtroppo, neanche il prossimo anno si preannuncia foriero di grossi miglioramenti.

Il Pil reale pro capite (al netto dell'inflazione) in Francia, Grecia, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti è oggi inferiore rispetto a prima della grande recessione. Di fatto, il Pil pro capite della Grecia si è ridotto di quasi il 25% dal 2008.
Ci sono alcune eccezioni: dopo oltre due decenni, l'economia giapponese sembra aver raggiunto una svolta sotto la guida del primo ministro Shinzo Abe; tuttavia, avendo il paese un retaggio di deflazione che risale agli anni '90, la strada da percorrere sarà lunga. E riguardo alla Germania, il suo Pil reale pro capite è stato maggiore nel 2012 che nel 2007, anche se un aumento del 3,9% in cinque anni non è proprio motivo di vanto.
Altrove, però, la situazione è veramente triste: la disoccupazione nell'eurozona resta ostinatamente elevata e il tasso di disoccupazione di lunga durata negli Stati Uniti è ancora di gran lunga superiore ai livelli pre-recessione.

In Europa, la crescita sembra destinata a riprendere quest'anno, sebbene a un ritmo piuttosto debole, con il Fondo monetario internazionale che prevede un incremento annuo della produzione pari all'1%. In realtà, le previsioni del Fmi si sono spesso rivelate troppo ottimistiche: il Fondo aveva previsto una crescita dello 0,2% per l'eurozona entro il 2013, rispetto a quella che probabilmente sarà una contrazione dello 0,4%; inoltre, aveva preannunciato che la crescita statunitense avrebbe raggiunto il 2,1%, mentre ora sembra più vicina all'1,6%.
Con i leader europei votati all'austerità e intenti ad affrontare a passo di lumaca i problemi strutturali derivanti da vizi insiti nel progetto istituzionale dell'eurozona, non c'è da meravigliarsi che le prospettive del continente appaiano così desolanti.
Dall'altra parte dell'Atlantico, però, vi è motivo di pacato ottimismo. I dati riveduti degli Stati Uniti indicano che il Pil reale è cresciuto a un ritmo annuo del 4,1% nel terzo trimestre 2013, mentre il tasso di disoccupazione ha finalmente raggiunto il 7% a novembre, il livello più basso degli ultimi cinque anni. Un quinquennio di rallentamento dell’attività edilizia ha contribuito a smaltire gli eccessi creatisi durante la bolla immobiliare. Lo sviluppo di vaste riserve di gas di scisto ha spinto l'America verso l’agognato obiettivo d'indipendenza energetica e ha fatto scendere i prezzi del gas ai minimi storici, contribuendo al primo barlume di rinascita produttiva. E un settore high-tech in piena espansione è diventato l'invidia del resto del mondo.
Ma più importante ancora è il fatto che il processo politico USA sembra aver ritrovato un minimo di sanità mentale. I tagli di bilancio automatici – che hanno ridotto la crescita nel 2013 di ben 1,75 punti percentuali rispetto a ciò che altrimenti sarebbe stata – continuano, ma in una forma molto più lieve. Inoltre, la curva dei costi per l'assistenza sanitaria – un elemento chiave dei deficit di bilancio a lungo termine – è scesa verso il basso. Il Congressional Budget Office stima sin da ora che nel 2020 la spesa per Medicare e Medicaid (i programmi di assistenza sanitaria statale rispettivamente per gli anziani e i poveri) sarà inferiore di circa il 15% alle proiezioni per il 2010.
È possibile, anzi probabile, che la crescita statunitense nel 2014 sarà abbastanza rapida da creare più posti di lavoro rispetto al numero di persone che faranno il loro primo ingresso nel mondo del lavoro. Quantomeno, il numero enorme (circa 22 milioni) di coloro che, pur cercandolo, non sono riusciti ancora a trovare un impiego a tempo pieno dovrebbe diminuire.
Ma occorre frenare la nostra euforia. Una quota sproporzionata dei posti di lavoro creati oggi sono a bassa retribuzione, e lo sono a tal punto che i redditi mediani (quelli delle fasce di mezzo) continuano a diminuire. Per la maggior parte degli americani non c'è alcuna ripresa, poiché il 95% dei guadagni finisce nelle tasche dei più abbienti, che rappresentano l’1% della popolazione.
Anche prima della crisi, il capitalismo in stile americano non era in grado di soddisfare le esigenze di un'ampia fetta di popolazione. La recessione, dunque, ne ha soltanto messo in evidenza gli spigoli. Il reddito mediano (al netto dell'inflazione) è ancora al di sotto dei livelli del 1989, ovvero di quasi un quarto di secolo fa, e il reddito mediano della popolazione maschile è più basso rispetto a quarant'anni or sono.
Il nuovo problema dell'America è la disoccupazione di lunga durata, che riguarda quasi il 40% delle persone senza lavoro, aggravata da uno dei più poveri sistemi assicurativi per la disoccupazione tra i paesi avanzati, con sussidi che di norma scadono dopo 26 settimane. Durante le recessioni, il Congresso degli Stati Uniti estende tali sussidi, riconoscendo che le persone sono disoccupate non perché non abbiano voglia di lavorare, ma perché non c'è lavoro. Oggi, però, i repubblicani del Congresso si rifiutano di adeguare il sistema di disoccupazione a questa realtà; dopo aver sospeso i lavori per le vacanze, il Congresso ha dato ai disoccupati di lunga durata l'equivalente di un benservito e, all'inizio del 2014, icirca 1,3 milioni di americani che hanno perso l'indennità di disoccupazione alla fine di dicembre si sono ritrovati a contare solo su se stessi. Felice Anno Nuovo.
Nel frattempo, una delle ragioni principali del fatto che il tasso di disoccupazione statunitense è attualmente così basso è che tante persone hanno abbandonato la forza lavoro. La partecipazione alla forza lavoro si è attestata su livelli mai visti in oltre trent'anni. Alcuni dicono che ciò riflette in gran parte l'andamento demografico: una quota crescente della popolazione in età lavorativa ha più di cinquant'anni, e la partecipazione alla forza lavoro è sempre stata inferiore in questo gruppo d'età che tra le coorti più giovani.
Ma questo non fa che rigirare il problema: l'economia statunitense non è mai stata brava a riqualificare i lavoratori. I lavoratori americani sono trattati come merce usa e getta, da mettere da parte se e quando non riesce a stare al passo con i cambiamenti della tecnologia e del mercato. La differenza, però, è che ora questi lavoratori non rappresentano più solo una piccola quota della popolazione.
Niente di tutto questo è inevitabile. La situazione attuale è il risultato di una cattiva politica economica e di una politica sociale persino peggiore, che spreca la risorsa più preziosa del paese – il suo talento umano – e causa immense sofferenze alle persone colpite e alle loro famiglie. Loro vogliono lavorare, ma il sistema economico degli Stati Uniti li scoraggia.
Pertanto, con il “grande malessere” dell’Europa che incombe sul 2014 e la ripresa degli Stati Uniti che favorisce solo i più ricchi, non posso che sentirmi triste. Su entrambe le sponde dell'Atlantico, le economie di mercato non riescono a soddisfare i bisogni della maggior parte dei loro cittadini. Per quanto tempo ancora potremo andare avanti così?