venerdì 14 marzo 2014

Recensione: Il cane di paglia




Capolavoro del regista Sam Peckinpah. Il film racconta la storia di un professore di matematica americano (Dustin Hoffman) che si trasferisce in un villaggio nella campagna inglese con la giovane e provocante moglie. Devono ristrutturare casa e assumono un gruppo di operai che si mostrerà particolarmente molesto, fino a quando non verrà raggiunto il punto di rottura anche nel mite e dimesso professore.



Il film racconta l'evoluzione della violenza e dipinge il protagonista come il vero, inconsapevole motore e alimentatore della violenza che lo circonda.

La pellicola è del 1971 e pensando che in quell'anno è uscì anche Arancia Meccanica direi che la "voglia" di violenza era tanta in quel periodo.

Peckinpah è un regista "maledetto", lavorerà molto poco in quanto il suo perenne stato di ebrezza non li permetterà dei rapporti sociali molto stabili. Ma riuscirà a mettere in pellicola il machismo violento (affermazione dell'individuo) come pochi altri. Amante del sangue (vedi il Mucchio Selvaggio), in questo film mostra le donne come fossero tutte provocatrici (per non dire altro) e gli uomini nel loro stato più primitivo.

L'unica eccezione è il protagonista intorno al quale la violenza sembra non toccarlo fino a quando di fronte ad una causa "giusta" viene scoperto il suo punto di non ritorno.

Peckinpah ci ricorda che quel punto esiste in ogni essere umano.

Voto: 8 1/2

Il film ha avuto un remake del 2011 che però si è focalizzato solo sulla violenza fine a se stessa e non sulla violenza come motore esistenziale. Una schifezza che potevano anche non fare.