sabato 20 settembre 2014

Le pensioni Italiane sono al sicuro ?



Michael Spence (nobel per l'economia Uk) ci spiega come mai il sistema previdenziale Europeo (e Italiano in particolare) sia a rischio e abbia i giorni contati.

"...Ma la sfida più grande è data dalla mancanza di finanziamenti per le passività dei sistemi previdenziali e dei fondi pensione che, in base alle stime, sono di  quattro volte e anche di più  al volume del debito sovrano. E’ evidentemente necessaria l’implementazione di piani credibili per evitare che queste passività continuino a crescere..."



MILANO – A luglio la Commissione europea ha pubblicato il sesto rapporto sulla coesione economica, sociale e territoriale (un termine che può essere riassunto con uguaglianza ed inclusività). Il rapporto delinea un piano di investimenti consistente pari a 450 miliardi di euro (ovvero 583 miliardi di dollari) provenienti da tre fondi UE diversi per un periodo compreso tra il 2014 ed il 2020. Viste le difficoltà economiche e fiscali del contesto attuale, che porta ad escludere eventuali investimenti nel settore pubblico a livello nazionale, questo piano rappresenta un serio impegno nei confronti di una serie di investimenti nel settore pubblico a sostegno della crescita.

La strategia di coesione dell’UE è sia pregevole che intelligente. Mentre in passato questo tipo di investimenti erano quasi sempre destinati alle infrastrutture fisiche, in particolar modo del settore dei trasporti, ora l’agenda si è spostata verso una serie di target più bilanciati che comrpendono il capitale umano, l’occupazione, le conoscenze e le basi tecnologiche dell’economia, l’informatica, la crescita a basso tenore di carbonio e la governance.
Detto ciò, è legittimo chiedersi quale sarà il ritorno derivante da questi investimenti in termini economici e sociali. Sostenere dei tassi di crescita elevati richiede senza dubbio degli alti livelli di investimento che implicano generalmente un aumento del rendimento (e quindi del livello) degli investimenti privati ed una conseguente crescita della produzione e dell’occupazione. Ma gli investimenti pubblici sono solo una componente delle strategie di crescita di successo. Un qualche impatto positivo sarebbe infatti garantito in qualsiasi scenario ipotizzabile. Tuttavia, gli effetti benefici sarebbero ben maggiori anche dopo il breve termine se fossero rimossi anche altri ostacoli vincolanti.
Ci sono tre questioni complementari che sembrano essere cruciali. La prima, principalmente relativa alla Banca Centrale Europea, riguarda la stabilità dei prezzi ed il valore dell’euro. La seconda è fiscale e la terza strutturale.
I tassi dell’inflazione, ora ben al di sotto del target annuale della BCE pari al 2%, oscillano all’interno della zona a rischio di deflazione. Dato che la deflazione tende ad aumentare il peso reale del debito sovrano e delle passività della pubblica amministrazione, come i sistemi pensionistici, un eventuale contesto deflazionistico metterebbe a rischio le condizioni, già fragili, delle finanze pubbliche di molti stati e inibirebbe la crescita.
In un contesto post crisi nel quale sono state implementate delle politiche monetarie non convenzionali ed aggressive in alcuni paesi avanzati, le politiche meno aggressive della BCE (determinate dalle condizioni più restrittive del suo mandato) hanno portato ad un tasso di cambio che ha danneggiato la competitività ed il potenziale della crescita dei settori tradable di molte economie dell’eurozona. Quest’aspetto è fondamentale in quanto nella maggior parte delle economie si sono verificate, nel periodo precedente la crisi, delle modalità di crescita non sostenibili caratterizzate da alti livelli di domanda interna aggregata. Un euro più debole aiuterebbe a sanare questo contesto.
La BCE lo sa e, senza farlo in maniera troppo esplicita, sta espandendo i suoi programmi legati al prezzo d’acquisto per aumentare l’inflazione e far scendere l’euro. Il Presidente della BCE, Mario Draghi, ha detto esplicitamente che ripristinare il target dell’inflazione e indebolire l’euro non rappresenta una strategia di crescita. Sono necessarie delle riforme difficili per regolarizzare le condizioni fiscali di diverse economie nazionali al fine di aumentare la flessibilità strutturale, e la BCE non può fare tutto questo da sola.
Sul lato fiscale, i livelli del debito sovrano sono troppo elevati ed ancora in aumento. Ma la sfida più grande è data dalla mancanza di finanziamenti per le passività dei sistemi previdenziali e dei fondi pensione che, in base alle stime, sono di quattro volte e anche di più superiori al volume del debito sovrano. E’ evidentemente necessaria l’implementazione di piani credibili per evitare che queste passività continuino a crescere.
Ma queste passività devono anche essere ridotte in quanto stanno già imponendo un forte peso fiscale derivante, per gran parte, da un invecchiamento rapido, ma soprattutto dall’aumento della longevità. Uno studio recente condotto negli Stati Uniti ha evidenziato che le passività legate ai programmi assistenziali avranno un effetto sul budget statale tra circa dieci anni. Per contro, in Italia, ad esempio, gli effetti sono già evidenti a causa del trend demografico meno favorevole.
Un nuovo processo di crescita potrebbe ridurre questo peso, ma le previsioni di crescita nel breve e nel medio termine sono altamente problematiche. Anche l’inflazione aiuterebbe a ridurre il valore reale sia del debito sia delle passività non indicizzate. Ma anche l’ipotesi di un’inflazione controllata a livelli elevati è stata esclusa e quindi il rischio attuale rimane quello della deflazione.
I governi potrebbero aumentare le tasse per coprire la parte più consistente delle spese necessarie. Ma questa mossa non aiuterebbe di certo la crescita e metterebbe il peso sulla forza lavoro e sui giovani che cercano di entrare nel mercato del lavoro, gran parte dei quali è mobile e potrebbe comunque andarsene. Allo stesso modo, una nuova emissione del debito per coprire una parte delle passività in scadenza non farebbe altro che trasferire le passività senza ridurle. 
L’unica alternativa è una riduzione diretta. Per il debito sovrano ciò potrebbe significare un default anche se solo in circostanze estreme, mentre per le passività ciò comporterebbe invece un cambiamento dei parametri sistemici come ad esempio un aumento dell’età pensionabile, Ma questa è una mossa contenziosa e particolarmente difficile da attuare a livello politico.
Il terzo elemento mancante è la flessibilità strutturale che è necessaria sostanzialmente per due ragioni. Innazitutto perchè gran parte delle economie avanzate hanno continuato a mantenere le modalità di crescita squilibrata che hanno portato alla crisi globale del 2008, e in secondo luogo perchè un ripristino della crescita comporta necessariamente dei cambiamenti strutturali.
Negli Stati Uniti, anche se la crescita rimane ben al di sotto del potenziale, i dati suggeriscono che circa la metà della ripresa deriva dallo spostamento del capitale e della forza lavoro nel settore tradable dell’economia e dalla grande spinta data dallo shale gas. Nelle economie del sud Europa, dove è necessario mettere mano alle rigidità strutturali dei mercati del lavoro e dei servizi, questo trend non si sta verificando, oppure si sta verificando ad un ritmo lentissimo. La Spagna fa eccezione avendo iniziato le riforme sul mercato del lavoro alla fine del 2012. Forse, quando l’impatto di queste riforme sarà più visibile, ci sarà uno slancio riformatore anche in altri paesi.
Una flessibilità strutturale è necessaria in tutte le economie, anche in assenza di squilibri legati alla crisi, per apportare gli adeguamenti necessari ai cambiamenti derivanti dalla globalizzazione, dal risparmio sul costo del lavoro e dai cambiamenti tecnologici legati all’aumento del valore del capitale digitale. Negli ultimi trent’anni l’economia globale ha comportato un aumento di 1,5 miliardi di lavoratori connessi nei paesi in via di sviluppo e in base alle stime sono in arrivo tre miliardi di nuovi consumatori.
Le tecnologie digitali hanno eliminato milioni di posti di lavoro di impiegati ed operai. Inoltre stiamo entrando nel regno del lavoro basato sul sistema cognitivo. Se si vuole che gli investimenti nel capitale umano possano competere con la composizione in costante mutazione dell’occupazione, è necessaria una flessibilità strutturale.
L’Europa ha una possibilità reale di fare un ottimo affare tramite l’implementazione da parte dei paesi membri di riforme strutturali e fiscali in cambio di un allentamento a breve termine delle restrizioni finanziarie finalizzato ad un aumento degli investimenti, e non delle passività, per una ripresa rapida e sostenuta della crescita. In un contesto simile anche gli investitori privati sarebbero spinti a dare un contributo all’accelerazione della ripresa. La sfida è ora quella di saper cogliere quest’opportunità.