mercoledì 15 ottobre 2014

Il fallimento dell'austerità di Joseph Stiglitz



Parlare di Europa e di Euro è diventato quasi noioso.
Ma è altresì vero come ci siano molte persone che "NON HANNO CAPITO NULLA" e ancora si ostinano con a ripetere i soliti ritornelli che gli hanno inculcato in testa come fossero Zombie.

Ho avuto anche di recente una discussione via Twitter con un utente che continuva a ripetermi di come l'Euro sia stata la nostra "Salvezza" e di come avrei dovuto informarmi meglio...


Questa volta è il Nobel Joseph Stiglitz (del quale abbiamo giù ospitato altri articoli) a ricordarci il fallimento delle politiche economiche europee.

Tutta la sofferenza dell'Europa – inflitta in nome di quell'artificio creato dall'uomo che è l'euro – è ancor più tragica essendo inutile.  (Joseph Sitglitz)

Tanti auguri agli Zombie che ancora credono ai vari Prodi, Letta, Renzi, D'alema e chi più ne ha più ne metta...

Il fallimento dell'Austerità Di Joseph Stiglitz


NEW YORK – “Se i fatti non corrispondono alla teoria, allora cambiate la teoria", recita un vecchio adagio. Troppo spesso, però, è più semplice mantenere la teoria invariata e cambiare i fatti – o almeno così sembrano pensare il cancelliere tedesco Angela Merkel e altri leader europei favorevoli all'austerità. Anche se i fatti parlano chiaro, loro continuano a negare la realtà che hanno davanti agli occhi.
L'austerità non ha sortito l'effetto sperato, ma i suoi difensori si ostinano ad affermare il contrario adducendo argomentazioni piuttosto deboli: visto che l'economia ha smesso di precipitare, l'austerità funziona! Ragionando così, però, si potrebbe dire che buttarsi da un dirupo è il modo migliore per scendere da una montagna – dopo tutto, in un modo o nell'altro si arriva alla fine.
Ma qualunque crisi prima o poi arriva alla fine. Il grado di successo non andrebbe misurato dal fatto che dopo una crisi c'è una ripresa, bensì dalla rapidità con cui essa prende piede e dalla portata del danno causato dalla recessione.
Vista in questi termini, l'austerità è stata un disastro totale e assoluto, reso ancora più evidente dal fatto che le economie dell'Unione europea vivono oggi una nuova fase di stagnazione, se non la terza recessione consecutiva, con una disoccupazione che si mantiene a livelli record e un Pil reale pro capite(depurato degli effetti dell'inflazione) che in molti paesi è al di sotto dei livelli pre-recessione. Anche nelle economie più performanti, come la Germania, la crescita dopo la crisi del 2008 è stata così lenta che, in qualunque altra circostanza, sarebbe definita "fiacca".
I paesi più colpiti sono in depressione. Non c'è un altro termine per descrivere un'economia, come la Spagna o la Grecia, dove quasi una persona su quattro – e più del 50% dei giovani – non riesce a trovare lavoro. Dire che la medicina sta facendo effetto perché il tasso di disoccupazione è diminuito di un paio di punti percentuali, o perché si può intravedere un misero barlume di crescita, è come dire, per un barbiere medievale, che un salasso funziona perché il paziente non è ancora morto.
Analizzando la modesta crescita dell'Europa dal 1980 in poi, i miei calcoli mostrano che oggi la produzione nell'eurozona è inferiore di oltre il 15% al livello che avrebbe registrato se la crisi finanziaria del 2008 non fosse avvenuta, il che implica una perdita di circa 1.600 miliardi di dollari solo quest'anno, e una perdita complessiva di più di 6.500 miliardi dollari. Ma ancor più inquietante è il fatto che il divario si sta allargando, non assottigliando (come ci si aspetterebbe dopo una recessione, quando la crescita è in genere più rapida del normale perché l'economia riguadagna il terreno perduto).
Per dirla in breve, questa prolungata recessione sta abbassando il potenziale di crescita dell'Europa. I giovani non accumulano le competenze che dovrebbero accumulare, e la loro prospettiva di reddito appare significativamente inferiore a quella che avrebbero avuto se avessero raggiunto la maggiore età in un periodo di piena occupazione.
Nel frattempo, la Germania costringe altri paesi a seguire politiche che indeboliscono le loro economie, nonché democrazie. Quando i cittadini votano ripetutamente per cambiare una certa politica – e sono poche le politiche che premono ai cittadini più di quelle che influiscono sul loro tenore di vita – ma viene detto loro che tali questioni vengono decise altrove o che non hanno scelta, la democrazia e la fiducia nel progetto europeo non possono che risentirne.
La Francia ha votato un cambiamento di rotta tre anni fa, ma agli elettori è stata somministrata un'altra dose di austerità pro-imprese. Uno dei teoremi di più lunga data in economia è quello del  moltiplicatore del bilancio in pareggio, secondo il quale aumentare tasse e spese in tandem stimola l'economia. E se le tasse colpiscono maggiormente i ricchi, mentre la spesa riguarda soprattutto i poveri, il moltiplicatore può essere particolarmente elevato. In Francia, però, un governo teoricamente socialista sta abbassando le imposte sulle imprese e tagliando le spese – una ricetta quasi sicura per indebolire l'economia, che tuttavia viene lodata dalla Germania.
La speranza è che ridurre le imposte sulle imprese abbia l'effetto di stimolare gli investimenti, un'idea che è una vera e propria assurdità. Ciò che frena gli investimenti (sia negli Stati Uniti che in Europa) è la mancanza di domanda, non il livello delle tasse. Di fatto, dato che la maggior parte degli investimenti è finanziata dal debito, e che i pagamenti degli interessi sono deducibili dalle tasse, il livello di tassazione sulle imprese ha scarso effetto sugli investimenti.
Allo stesso modo, oggi l'Italia viene incoraggiata ad accelerare le privatizzazioni. Il primo ministro Matteo Renzi, però, ha il buon senso di riconoscere che svendere beni nazionali serve a poco. A determinare le attività svolte nel settore privato dovrebbero essere delle valutazioni a lungo termine, non esigenze finanziarie a breve termine. E la decisione dovrebbe basarsi su criteri di efficienza, servendo gli interessi della maggior parte dei cittadini nel miglior modo possibile.
La privatizzazione delle pensioni, ad esempio, si è rivelata molto costosa in quei paesi che hanno tentato di attuarla. Il sistema sanitario americano, perlopiù privato, è il meno efficiente al mondo. Si tratta di temi difficili, ma è facile dimostrare che la vendita di beni statali a prezzi irrisori non è un buon metodo per rafforzare la solidità finanziaria a lungo termine.
Tutta la sofferenza dell'Europa – inflitta in nome di quell'artificio creato dall'uomo che è l'euro – è ancor più tragica essendo inutile. Anche se le prove che confermano l'inefficacia dell'austerità aumentano di giorno in giorno, la Germania e gli altri falchi continuano a puntare su di essa, scommettendo il futuro dell'Europa su una teoria da tempo screditata. Perché fornire agli economisti  altri elementi ancora per dimostrare che le cose stanno così?