venerdì 12 ottobre 2012

La Terza fase della Crisi Europea


Leggiamo alcuni estratti dell'opinione di J.Bradford d.Long (cattedra economica di Berkeley S.F.) sulla terza fase della crisi Europea.



..... Il processo attraverso il quale l'Europa meridionale è diventata competitiva, è stato in primo luogo trainato dai segnali di prezzo del mercato - dagli incentivi creati per gli imprenditori, e da come le risposte individualmente razionali degli imprenditori hanno giocato in termini macroeconomici.Gli Europei del Nord con molti soldi da investire erano disposti a concedere prestiti a condizioni straordinariamente competitive a quelli del sud che volevano spendere, e nel pre-2007 i datori di lavoro sono stati pronti ad aumentare i salari rapidamente.
Di conseguenza, l'Europa meridionale ha adottato una configurazione economica in cui il suo salario, il prezzo e livelli di produttività avevano un senso solo fino a quando ha potuto spendere € 13 per ogni € 12 che ha guadagnato, con il Nord Europa pronto a finanziare l'euro mancante.Il Nord Europa, nel frattempo, ha adottato i livelli di salari e produttività che avevano un senso solo fino a quando ha potuto spendere meno di un euro per ogni euro che guadagnava.
Ora se, come sembra verificarsi nella fattispecie, l’Europa non vuole che il sud spenda più di quello che guadagna e che il nord spenda meno, i salari, i prezzi e la produttività devono cambiare. Se non vogliamo guardarci indietro tra una generazione e lamentarci dei decenni “perduti”, i livelli di produttività del Sud Europa devono aumentare rispetto al nord, e i livelli di prezzi e salari devono scendere all’incirca del 30%, così che il sud possa pagare la propria quota con le esportazioni e il Nord Europa possa spendere i propri guadagni su quei prodotti.
Per preservare l’euro ed evitare la stagnazione si potrebbero prendere in considerazione cinque misure:
·         Il Nord Europa potrebbe tollerare un’inflazione più elevata – due punti percentuali extra per cinque anni basterebbero a coprire un terzo dell’aggiustamento totale nord-sud;
·         Il Nord Europa potrebbe espandere la democrazia sociale rendendo la previdenza sociale più generosa;
·         Il Nord Europa potrebbe ridurre in modo sostanziale tasse e servizi sociali;
·         Il Sud Europa potrebbe riconfigurare le imprese affinché diventino motori di produttività;
·         Il Sud Europa potrebbe applicare la deflazione.
La quinta opzione è forse la meno saggia, perché implica quei decenni perduti e il collasso dell’Ue che l’Europa sta cercando di evitare. La quarta opzione sarebbe splendida; ma se qualcuno sapesse come portare le imprese del Sud Europa ai livelli di produttività del nord, l’avrebbe già fatto.
Quindi non ci resta che una combinazione delle prime tre opzioni, altrimenti note come “politiche per rilanciare la crescita europea” – una frase che appare in ogni comunicato internazionale. Ma i comunicati non entrano mai nello specifico. I tecnocrati europei sanno cosa significa adozione delle “politiche per rilanciare la crescita europea”. E così anche alcuni politici europei. Ma gli elettori europei no, perché i politici temono che parlarne sarebbe una mossa politica sbagliata.
Ma se l’Europa non si pone come obiettivo politico la combinazione delle prime tre opzioni nei prossimi cinque anni, si troverà di fronte a una dura scelta: o i decenni perduti per il Sud Europa (e forse anche per il Nord Europa) oppure continui squilibri nord-sud che dovranno essere finanziati mediante trasferimenti fiscali, ovvero tassando il nord.
I politici del Nord Europa dovrebbero essere più espliciti su cosa si intende realmente con “politiche per rilanciare la crescita europea”. Altrimenti tra dieci anni a partire da questo momento saranno costretti a confessare che le esitazioni odierne hanno imposto enormi debiti fiscali aggiuntivi sul Nord Europa. E ciò potrebbe rivelarsi una vera seccatura a livello politico.